L’importanza di chiamarsi Metro E

Il futuro della Roma-Lido si deve chiamare Metro E. Oggi qualsiasi prospettiva di miglioramento del servizio è impantanata nel fango generato da un lato dal disorientamento totale della Regione e dall’altro da un Comune lento e farraginoso, anch’esso senza guida. In particolare, la Metro E (insieme con la Metro F, che approfondiremo in un articolo ad hoc) è finalmente apparsa nelle tavole del PUMS redatte dal Comune a ottobre 2018, salvo poi scomparire, nelle tavole di dicembre presentate in Commissione Mobilità.

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Particolare dell’area centrale nella versione del PUMS di ottobre 2018

Confronto tra i cartigli

Confronto tra i cartigli

Continuare a parlare di generici “potenziamenti” e “adeguamenti” è aleatorio e inconsistente, ma soprattutto dà contezza dell’incertezza che aleggia sul tema. Una cosa al contrario è certa: il 14 giugno 2019 scadrà il contratto di servizio (CdS) e si rischia di far rimanere una ferrovia quella che in realtà è e deve essere una metropolitana. Noi le idee chiare ce le abbiamo: intanto cominciamo a chiamarla metropolitana linea E. Cosa vogliono fare Regione e Comune?

Per chi non ne fosse a conoscenza, la Metro E è la nostra proposta di una definitiva integrazione estetica e funzionale della Ferrovia Roma-Lido con la rete metropolitana romana e si articola in due grandi macrofasi:

CAMBIO DI NOME E POTENZIAMENTO

Una prima fase passa dal semplice cambio di nome dell’attuale infrastruttura, che grazie ai potenziamenti già previsti potrà raggiungere, nel tempo, standard di esercizio sempre più efficienti e ancor più “metropolitani”. Abbiamo diverse volte sottolineato come il semplice e solo adeguamento grafico della Linea sia il primissimo inevitabile passo verso questo obiettivo. Il cambio di denominazione non costituisce solamente una soluzione estetica ma anche comunicativa, quindi trasportisticamente rilevante, e politica, quindi amministrativamente essenziale, tanto più per il fatto che in Italia non solo non esiste alcun limite ai nomi commerciali che un servizio ferroviario può assumere, ma non esiste neanche una definizione legislativa universale di “Metropolitana”. Esistono, invece, degli standard tecnici, le norme UNI, che tuttavia non sono certo vincolanti od obbligatorie, ma costituiscono delle “linee guida” del settore. Comunque, anche facendo riferimento alla norma UNI di riferimento, la linea mantiene già oggi quasi ogni criterio di una metropolitana standard fatta eccezione per il distanziamento minimo potenziale a 3 minuti, cioè la massima frequenza potenziale, ed il distanziamento tra le fermate inferiore al chilometro. Ma neanche la Linea C, né oggi, né quando aprirà Colosseo, avrà una frequenza potenziale a 3 minuti, eppure nessuno si è mai posto il problema di chiamarla ferrovia San Giovanni – Pantano valutandone l’opportunità di cessione a RFI. Come nessuno chiamerà mai la M2 di Milano “ferrovia Assago – Gessate” perché il distanziamento tra le stazioni è superiore al chilometro, cosa perfettamente normale quando una linea va a sostituire un sistema di genesi extraurbana, come nel caso proprio della M2. La Roma-Lido è una metropolitana, è incredibile come in una città bramosa di ferro come a Roma si eviti accuratamente di ammetterlo o si dimentichi di dirlo.

Posto che già oggi la Metro E è una Metropolitana, è comunque importante potenziarla (come è importante potenziare e ammodernare metro A e B) poiché oggi la linea offre un servizio tale da intercettare una domanda notevolmente al di sotto della domanda potenziale. Sono indispensabili, quindi, tutti quegli interventi di potenziamento già previsti. L’importante è che questi ultimi portino avanti in tutto e per tutto l’adeguamento della Roma Lido allo standard della vicina linea B, con la quale essa condivide il deposito.

L’INSTRADAMENTO

A seguito del cambio nome e del potenziamento, la seconda macrofase prevede l’instradamento della Metro E sulla Metro B, con il prolungamento dell’itinerario fino a Jonio. Se i previsti potenziamenti seguiranno gli standard dell’attuale Metro B, così da rendere identiche le due infrastrutture, oggi leggermente diverse, il costo dell’instradamento sarà sostanzialmente irrisorio.

La proprietà, da molti considerata un nodo fondamentale, è sinceramente l’ultimo dei problemi o comunque un passaggio trascurabile. Al contrario è rilevante quale amministrazione si fa carico della programmazione del servizio operato sull’infrastruttura, che non necessariamente coincide con la proprietà della stessa. Fino a non molti anni fa era sufficiente affidare ad ATAC (Met.Ro.) la linea, di modo che il Comune potesse, attraverso la sua azienda, controllare e programmare il servizio, chiaramente di concerto con la Regione. In questo modo la Regione sopperiva anche alla mancanza di una propria agenzia della mobilità.

Ciò era possibile e logico quando azienda pubblica e servizio pubblico erano considerati dal punto di vista normativo la stessa cosa e quindi il gestore materiale del servizio ne era anche il programmatore. Oggi invece ATAC stipula contratti di servizio e si comporta nei confronti delle Amministrazioni Pubbliche come qualsiasi altro operatore di diritto privato, per cui non programma più il servizio, riducendo di molto la capacità del Comune di intervenire sulle concesse. Ciò si annullerebbe del tutto se il gestore non fosse ATAC, ma un ente terzo.

A mancare alla Regione è proprio una struttura tecnica in grado di programmare il servizio efficacemente e di definire una strategia sui trasporti. Il più grande sintomo di questo è il fatto che il Piano della Mobilità del Lazio è fermo alla fase degli scenari dal 2014.

Alla luce di questo, anche se chiaramente la Regione non è obbligata a fare una gara, sarà molto difficile perpetuare l’affidamento diretto ad ATAC per il venir meno di quasi tutti i presupposti legislativamente accettabili (si veda a tal proposito il recente ricorso al TAR da parte dell’AGCM sul servizio ferroviario locale). Si rischia quindi o di generare una gara totalmente inadeguata o di optare per soluzioni altrettanto inquietanti (tipo l’adeguamento a standard RFI con relativa cessione, cioè un declassamento) che una Regione totalmente disorientata potrebbe causare, opzioni che oltretutto escluderebbero il Comune dalla programmazione del servizio di una linea metropolitana ricadente completamente nel proprio territorio violando qualsiasi principio di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, valorizzazione ambientale e di correlazione con competenze e funzioni. 

Per garantire questi principi, tuttavia, non è necessaria la proprietà ma è sufficiente che il Comune possa occuparsi della programmazione del servizio e della pianificazione futuro dell’infrastruttura con la Regione tramite un Accordo di Programma che contempli:

  • Trasferimento al Comune di gestione e programmazione del servizio di Roma-Lido, Roma-Giardinetti e Roma-Montebello.
  • Incentivo alla cessione definitiva dei relativi beni alla Regione e quindi al Comune.
  • Ricognizione delle risorse ancora disponibili orientandole sulle recenti proposte dall’amministrazione comunale.
  • Ridefinizione normativa del ruolo delle infrastrutture e relativa competenza in materia di sicurezza.

Dell’Accordo di Programma ne abbiamo parlato qui.

A tal proposito ci corre in aiuto la strada imboccata per la Roma-Giardinetti. In questo caso infatti, grazie all’inserimento nel PUMS, ma prima ancora grazie alla redazione di uno studio di fattibilità che concepisce l’infrastruttura come un qualcosa di completamente nuovo e integrato, il Comune ha potuto intavolare un confronto con la Regione per un lavoro fino addirittura finalizzarne la cessione.

Quello che quindi, a nostro parere, deve essere immediatamente messo in atto dal Comune è:

  • Inserimento dell’attuale infrastruttura nel PUMS come “Linea E”
  • Sviluppo di un progetto di fattibilità su una proposta integrata per l’infrastruttura (Linea E “Colombo-Jonio”)

Solo con questa base di partenza si potrà uscire dal guado.