REFERENDUM: DUBBI E OPPORTUNITÀ

Domenica 11 Novembre, dalle 8 alle 20, si terrà il referendum sulla modalità di affidamento dei servizi relativi al trasporto pubblico locale. Mettiamo nero su bianco le nostre riflessioni sperando che possano aiutare, al di fuori delle ragioni strumentali ed equivoche delle parti politiche. Non daremo un’ indicazione di voto perchè non crediamo che esista una risposta univoca ai quesiti. Purtroppo una cosa sola è certa: si sta cercando una soluzione profondamente tecnica – il metodo di affidamento – al problema, tutto politico, della carenza infrastrutturale di questa città.

Domenica cittadini saranno chiamati a rispondere ai seguenti quesiti.

Quesito n. 1

“Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia mediante gare pubbliche, anche ad una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e della ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?”

Quesito n. 2

“Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?”

Il quesito che più di tutti ha generato dibattito è il primo, riguardante la cosiddetta liberalizzazione del trasporto pubblico locale.

COS’È LA LIBERALIZZAZIONE

Prima di tutto, per affrontare in maniera chiara e critica l’argomento, è importante premettere delle note giuridiche e terminologiche. La liberalizzazione è un processo che riguarda un mercato e consiste “nella rimozione dei vincoli che rappresentano restrizioni alla concorrenza e, soprattutto, nel garantire le condizioni favorevoli affinché le dinamiche concorrenziali si sviluppino”. Il concetto è radicalmente differente da quello della privatizzazione, che invece riguarda la società erogatrice del servizio, nel nostro caso ATAC, e consiste nella vendita della stessa. I due termini però vengono spesso confusi e scambiati per ragioni di carattere giuridico. Infatti, la legge italiana vieta affidamenti diretti a società private o pubbliche che non siano di diretta proprietà del Comune, ma permette invece affidamenti a terzi in un mercato “liberalizzato” tramite una gara pubblica. Ne viene che se è vero che la liberalizzazione non è una privatizzazione, è altrettanto vero che la liberalizzazione è condizione necessaria ma non sufficiente per una privatizzazione. A complicare ancora di più la terminologia c’é un particolare tipo di gara, la “gara a doppio oggetto”. Questa forma di gara mischia gli scenari di liberalizzazione e privatizzazione: la gara, in quel caso, consiste nella vendita al miglior offerente di quote dell’azienda erogatrice.

LE IPOTESI DI LIBERALIZZAZIONE

Le ipotesi di liberalizzazione avanzate durante il dibattito si dividono in due linee di pensiero, nello specifico una in cui partecipa anche l’attuale operatore pubblico ATAC, prospettata da alcuni Radicali, ed una in cui l’operatore pubblico ATAC affida il servizio in subappalto, che è invece la posizione avanzata da Walter Tocci.

Le due gare partono da assunti ben precisi:

  1. Il rapporto diretto che sussiste tra controllante e controllato è da considerarsi il grande limite del nostro assetto, dove gli interessi politici si mischiano con gli interessi industriali.
  2. La bigliettazione deve rimanere in capo al Comune, che eserciterebbe la funzione di programmazione e controllo dettando tratte e frequenze.

Nel primo caso, a curare la gara sarebbe “Roma Servizi per la Mobilità”, l’attuale agenzia della mobilità di Roma. Ritenendo improbabile che ATAC vincerebbe una gara, andiamo ad analizzare il caso in cui ATAC non vincesse e quindi quali opportunità potrebbero raccogliere invece operatori terzi. Il primo grande limite di questo scenario è la necessità per gli operatori terzi di entrare in possesso dei beni strumentali di ATAC. In base alla delibera dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti, che norma questi passaggi, il valore di subentro nei beni è stimato in 1,5 miliardi. Questo costo di accesso al mercato vanifica di per sé qualsiasi ipotesi di concorrenza tra operatori che non siano già “incumbent” del mercato, anche in condizioni di una pluralità di lotti che pur dividendo il costo del subentro, non troverebbero nel corrispettivo un margine di profitto tale da garantire il ritorno di un investimento di questo genere. Ciò fa ipotizzare che anche gli “incumbent” potrebbero essere ben poco interessati a questo investimento, a meno che il Comune non decida un taglio sostanziale del servizio, concedendo però un corrispettivo molto alto per garantire gli ammortamenti.

Il secondo caso vede invece ATAC stessa che, a seguito di un affidamento diretto, procede a disporre le gare. Questa seconda ipotesi vede le gare come dei veri e propri “contratti di fornitura” di ATAC, dove i vari gestori forniscono il servizio per conto di essa. Il modello è chiaramente ispirato alla TFL londinese. In questo caso, gli operatori terzi non sono obbligati a subentrare nei beni strumentali, ma semplicemente le gestiscono, evitando quanto prospettato nel primo caso. Questa struttura permette anche di far subentrare una ditta in subappalto in un lotto altrui, prendendone temporaneamente la gestione. Quest’ipotesi tuttavia ci lascia perplessi nella misura in cui questo referendum parte proprio dalla volontà politica di voler dividere controllato e controllore, ma di fatto ATAC in questo assetto rimane una struttura fortemente connessa alla produzione diretta.

UNA LIBERALIZZAZIONE SUI GENERIS

Come si può dedurre, entrambi gli scenari prospettati costituiscono una liberalizzazione molto relativa. Il Comune, mantenendo la sua funzione di controllo e regolazione, mantiene in entrambi i casi una funzione fortissima di direzione industriale. Determinare tratte, frequenze e biglietti significa annullare comunque ogni forma di concorrenza cosiddetta “nel mercato”. Si parla infatti di gare solo come sistemi di concorrenza “per il mercato”, dove gli operatori si accaparrano la gestione “in esclusiva” di un lotto. Determinando tratte, frequenze e biglietti, inoltre, il comune va ad incidere direttamente sulla produttività aziendale. Infatti, in base alle tratte ed alle frequenze si determina la velocità commerciale ed il piano di esercizio, che sono i parametri fondamentali per definire il rischio industriale del servizio. È il Comune a definire per intero questo rischio, anche e sopratutto perché determina la produttività per addetto: considerato che per il Contratto Nazionale ogni autista in sé ha un costo omogeneo, il discriminante è proprio la linea che questo autista esegue, che va a determinare la sua produttività. Linee ad alta velocità con molte vetture garantiscono un guadagno alto a basso rischio, linee a scarsa velocità con poche vetture costituiscono un basso guadagno ad alto rischio. Tuttavia, queste condizioni non sono determinabili dall’erogatore.

Non solo: il fatto che sia il Comune a decidere questi fattori porta nel tempo ad aspri contenziosi. Spesso la riforma delle linee diventa un rebus con operatori terzi in quanto questa incide materialmente sulla loro produttività.

IL MONOPOLIO NATURALE

Le difficoltà di prospettare scenari effettivi di concorrenza nei sistemi di trasporto pubblico locale collettivo non deve sorprendere. Occorre evidenziare che il sistema di trasporto pubblico di Roma tende al monopolio naturale. Uno dei limiti del primo quesito è quello di mischiare deliberatamente gomma e ferro, senza andare ad analizzare le differenti condizioni di mercato.

Nel caso della rete metropolitana, la produzione romana mostra evidenti economie di scala a rendimenti crescenti. Questo significa che la tendenza al monopolio è molto forte tanto da apparire una scelta tanto obbligata tanto più è grande il bacino di utenza. Non c’é ragione alcuna di aprire il trasporto metropolitano ad una pluralità di gestori, sopratutto nella prospettiva che noi auspichiamo di allargare la produzione della rete su ferro. Infatti, per quanto a Roma si possa espandere la produzione della metro, questa rimarrà sempre nell’ambito dei rendimenti crescenti.

Diverso è il caso della rete di superficie, dove la produzione mostra rendimenti di scala fissi o, negli ultimi anni, decrescenti, che farebbero pensare alla pluralità di gestori come ad un meccanismo efficiente. Tuttavia, occorre evidenziare che il rendimento decrescente si mostra, negli ultimi anni, proprio al ridursi del parco di mezzi circolante che quindi mostra stress di esercizio sempre superiori. Infatti, occorre evidenziare come a Roma gli autobus siano impropriamente utilizzati per gestire flussi di trasporto propri di tranvie o metropolitane, con la conseguenza di scadere in rendimenti di esercizio molto decrescenti poiché sovrautilizzati. Per spiegare questo nel dettaglio quello che riguarda la superficie, possiamo considerare alcune curve caratteristiche di rendimento per i principali servizi su una tratta tipo.Schermata 2018-11-08 alle 14.40.01

Come si può vedere i vari servizi attraversano una lunga fase di rendimenti crescenti, per poi divenire, oltre un picco di rendimento ottimale, decrescenti. Poiché è il Comune infatti ad erogare le risorse necessarie allo svolgimento del servizio e detenendo il comune il “monopolio del finanziamento” di questo sistema è chiaro che un assetto con rendimenti crescenti garantisce per esso la sostenibilità progressiva dei costi all’aumentare della produzione. Per mantenere questa assetto ottimale occorre sviluppare un sistema infrastrutturale che mantenga le linee nell’ambito di rendimenti crescenti. Di per sé, quindi, il monopolio per il Comune non costituisce uno spauracchio da evitare ma un obiettivo da perseguire.

Anche le metropolitane si rispecchiano in curve di rendimento del tutto simili a quelle mostrate nel grafico, ma la fase discendente appare dopo un numero di passeggeri talmente alto che il servizio risulta sempre nella fase di crescita dei rendimenti.

L’INFRASTRUTTURA DEL MONOPOLIO

Come abbiamo visto, quindi, esiste una stretta correlazione tra il tipo di infrastruttura prescelta e la forma di affidamento. L’idea che la struttura gestionale possa essere distinta dalla dotazione infrastrutturale è sostanzialmente non verificabile. Una città che insegue un modello ad alta efficenza dove l’infrastruttura tende a rendimenti crescenti, un’infrastruttura quindi basata sulla rete metropolitana, è una città che va nella direzione del monopolio e che ne esalta le qualità positive.

Non è un caso che a Londra l’introduzione della molteplicità di gestori abbia portato ad un aumento progressivo della quota modale dei bus, fino a scadere nell’ambito della diseconomia di scala, più coerente con la forma di affidamento tramite molteplici gare. Tuttavia, Londra infatti soffre sempre maggiori difficoltà nel finanziare il servizio bus, proprio perché è l’amministrazione cittadina l’unica a sostenere economicamente il servizio fissandone i prezzi. Da qui l’dea per cui si è proceduto, spesso, nell’ambito delle gare, con la costituzione invece di grandi lotti unici. Il lotto unico infatti mantiene le caratteristiche del bacino monopolistico poiché non vi è pluralità di gestori, tuttavia espone il Comune al serio rischio di una “cattura del controllante”, un fenomeno che si innesca molto frequentemente nell’ambito dei trasporti. In pratica, poiché la politica deve rispondere della necessità di erogare il servizio in ogni caso, si trova in moltissimi casi a dover compiacere le richieste, spesso scellerate, del controllato finendo per divenirne succube.

IL SECONDO QUESITO

Meno conosciuto ma molto interessante è il secondo quesito riguardante più in generale i servizi di trasporto collettivo non di linea. Il trasporto collettivo non di linea è quel servizio con fermate ed orari non fissi erogato con mezzi che hanno una capacità superiore ai 9 posti, guidatore incluso. Questi servizi sono conosciuti come “autobus a chiamata”, cioè degli autobus che non servono specifiche fermate ma piccole aree di riferimento su prenotazione in maniera dinamica, solitamente invece con una destinazione ben precisa, ad esempio una stazione della metro. L’idea alla base del quesito è quella di promuovere questi servizi proponendo, in questo caso, una vera e propria liberalizzazione, permettendo agli operatori di operare in piena libertà e concorrenza nel mercato, scegliendo strutture e biglietti. Ferme restando le considerazioni di cui sopra, riteniamo che questi servizi de facto siano destinati a vita breve nell’ambito di un mercato liberalizzato. Al contrario, le esperienze nazionali ed internazionali hanno mostrato la funzionalità di questi servizi come sistemi di adduzione alla rete metropolitana. Infatti, il gestore monopolistico è in grado di sostenere questi servizi all’interno della bigliettazione ordinaria attraverso sussidi incrociati ed al fatto che questi servizi vanno ad allargare la quota su ferro che mantiene rendimenti di scala crescenti. È improbabile che questo possa avvenire in assetti pienamente liberalizzati, soprattutto senza il biglietto e/o abbonamento integrato che un sistema di concorrenza pura nel mercato non permetterebbe.

UNA SOLUZIONE TECNICA AD UN PROBLEMA POLITICO

Come si è potuto comprendere, quella del meccanismo di affidamento è una scelta profondamente tecnica legata a doppio filo all’infrastruttura ed alle caratteristiche economiche del servizio e che quindi come tale andrebbe trattata. Una scelta che dovrebbe passare da una lunga disamina scientifica e probabilmente non da un referendum, che rischia anzi di andare nella direzione di una scelta di pancia contro l’attuale gestore che nulla a che vedere con quella che è invece la complessa scelta del metodo di affidamento.

Noi non crediamo che esista una risposta univoca ai quesiti. Crediamo che anzi, probabilmente, emergerebbero da un’indagine tecnica soluzioni differenziate rispetto allo specifico mezzo di trasporto in oggetto, con un sicuro no alla gara per quel che riguarda la rete metropolitana. Ciò che possiamo affermare con certezza, invece, è che purtroppo questo referendum si è trasformato in una forte arma di distrazione di massa. La politica e l’editoria continuano a concentrarsi solo ed esclusivamente sul problema gestionale, che fa titoloni e porta voti, ma che rimane un problema sostanzialmente marginale, un pallido riflesso del problema infrastrutturale. In questi mesi tutti i dossier infrastrutturali si sono completamente impantanati, ma non si è fatto che parlare di ATAC. Il parco mezzi continua a scendere ed invecchiare perché sono 10 anni che il Comune di Roma non compra autobus, se non in leasing, ma l’opinione pubblica discute del tasso di assenteismo di ATAC, quando invece il problema è che abbiamo più autisti che mezzi in grado di circolare.

Il problema vero è che si cerca di superare l’inadeguatezza di una classe politica con un meccanismo amministrativo che anzi, probabilmente, richiede una classe politica ancor più preparata. Il problema romano è proprio l’approccio approssimativo, ideologico ed inconsistente dei suoi politici, che spesso si fanno portatori di interessi particolari, che sussisterebbero sia nell’ambito di una liberalizzazione che in quello dell’erogazione in via diretta.  Questo referendum è l’ennesima riconferma di una classe politica che persegue interessi di promozione personale piuttosto che di promozione dell’interesse pubblico. Il fatto che il promotore di questo referendum abbia legato la sua futura candidatura a Sindaco al raggiungimento del quorum ne è un sintomo, così come il fatto che alcune delle voci più autorevoli del fronte del Sì considerino questo referendum il punto di partenza per la costruzione della candidatura del centrosinistra. Tuttavia, il merito del referendum è invece quello di aver messo in luce comunque l’esistenza di un problema, confondendo gli obbiettivi ma segnalando un disagio ben preciso.