Riesumando la linea D…

La linea D è il progetto della quarta linea della metropolitana di Roma prevista dal Nuovo Piano Regolatore Generale di Roma, che si sarebbe dovuta realizzare successivamente alle linee B1 e C. Tale opera avrebbe collegato il centro storico della città a nord con i quartieri Monte Sacro AltoMonte Sacro e Salario, e a sud con TrastevereOstiensePortuense, ed Europa.

Il tracciato prevedeva una lunghezza di 20,4 km con 22 stazioni seguendo un percorso in parte parallelo alla linea B. La tratta prioritaria (circa 11,5 km, 12 stazioni) era compresa tra le stazioni Fermi (viale Marconi) e Salario (presso l’innesto con via Salaria).

Il 4 agosto 2010 Roma Metropolitane ha sospeso la procedura di assegnazione per la costruzione della linea a causa della volontà dell’amministrazione comunale, in quel periodo guidata da Alemanno, di voler cambiare parte del percorso previsto. La procedura di assegnazione venne sbloccata il 10 agosto 2011 ma la gara per il project financing fu definitivamente ritirata a novembre 2012. Roma Metropolitane diede notizia sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della revoca del bando di concessione della progettazione, realizzazione e gestione della futura linea. Attualmente il progetto resta sospeso.

Fin qui i fatti. Chi aveva avuto un barlume di speranza quando si era passati dalle progettazioni agli scavi della B1 e della C, ha subìto un brusco ritorno alla realtà. Più che la diramazione della linea Blu, ad aver messo una pietra tombale sulla quarta linea di metro è la stessa C, con i suoi nemici, le sue difficoltà, i ritardi e la vergognosa impostazione sbilanciata vistosamente a vantaggio delle imprese costruttrici. Una linea, la D, essenziale per creare quel famoso “effetto rete” che a Roma non è mai esistito e che avrebbe rappresentato lo schema con cui dipanare i flussi e razionalizzare i percorsi degli utenti.

Tuttavia l’estensione della Capitale è tale che una rete formata dalla D, dalla C fino a piazzale Clodio, nonché dalle attuali A e B, avrebbe rappresentato il minimo sindacale; soprattutto se la confrontassimo con città dove le metro sono state costruite e si continuano a costruire ,con tenacia e continuità. Non perché lì siano più bravi ma perché esiste la volontà della politica – nazionale e locale –  a voler risolvere i problemi della gente, a voler creare quel terreno fertile ove consentire a operatori commerciali di avere tutte le opportunità del caso.

Nonostante non fosse un’ottimale dotazione infrastrutturale, la linea D è caduta nel dimenticatoio, mentre la C stenta ad arrivare (per mancanza – lo ribadiremo fino alla noia –  di volontà politica, non solo di fondi) lì dove si era progettualmente previsto. Non stiamo qui, adesso, a sottolineare quanto una robusta rete metro, ossatura essenziale di una sistema complesso, omogeneo, coordinato ed articolato, sia importante per tutta quella serie di motivi che fanno preferire a Roma città che hanno molte meno “attrazioni” da far vedere come Berlino, che oltre ai turisti, è capace,  anche e per la sua dotazione infrastrutturale, di attrarre capitali di aziende straniere che creano posti di lavoro, migliorando la qualità della vita dei propri cittadini.

Il partito del NO in città è molto forte. Anche le redazioni locali di testate nazionali hanno le loro colpe nell’esser passati dalla parte di coloro che “a Roma le metro non si possono fare”. Una bugia, una menzogna instillata quasi quotidianamente, con una costanza quasi criminale, a danno della città, dei suoi abitanti, della sua economia.

Non è possibile accettare questa versione della verità e non lo facciamo per partito preso, ma perché tali affermazioni sono smentite dalle azioni dei governi nazionali e locali di tutte le nazioni del mondo civilizzato che investono nelle infrastrutture di trasporto di massa, non gettando danari alle ortiche, perché esse rappresentano un indicatore importante: quello di civiltà e affidabilità organizzativa di un paese, di un luogo, di un posto che crede nei progetti, affronta i problemi e li realizza.

Molte “multinazionali” hanno lasciato e stanno lasciando Roma anche per questo. Non è una città che interessa anche perché non è una città che consente trasferimenti rapidi  di persone e cose da punto A al punto B (interscambiando al punto F), perché non è una città che sa razionalizzare le proprie risorse e che ha una dispersione paurosa dei propri centri economici e commerciali, spesso realizzati in punti che non hanno un collegamento su ferro. Non può essere che a Parigi o a  Milano l’Apple Store sia in centro e a Roma finisca a Lunghezza. Questo perché a Roma è la macchina a decidere dove è conveniente andare. Una mentalità anni 60!

Una città, capitale di un paese, dunque dalle mille contraddizioni, dalle mille teste pensanti, scoordinate tra loro. Basti pensare che ancora la stazione ferroviaria Pigneto, che doveva diventare un potente nodo di scambio, ancora non è nemmeno partita. Basti pensare che infrastrutture, come la Roma Lido, che di fatto sono metro, metro non sono (volontà politica!).

Poi certo si devono fare le preferenziali per i bus, nuove linee tram di raccordo alle metro ed il bike sharing. Tutto utile, ma tutto di raccordo alle metropolitane che sono l’unica infrastruttura anticamente moderna capace di garantire la svolta di una città che lascia i propri tesori emersi dal sottosuolo in abbandono, ma che non costruisce metro perché ci sono altri tesori nel sottosuolo, che non riporta alla luce per non farli andare in abbandono.